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L'uomo che faceva stumph, il piccolo delinquente folle, più folle che delinquente, il ragazzo con la bontà scambiata per scemità ed il signore dei pidocchi, così come tanti altri personaggi anonimi, strampalati e grotteschi, sono i protagonisti di racconti di vita e follia ambientati in una galera italiana degli anni novanta. Alla galera si accede mediante la Porta di Dite, oltre la quale si dischiude la vita del carcere e si palesano i paradossi di un luogo che, pensato per punire e riabilitare, in realtà concentra la parte più grave del disagio psichico sociale ed un forte bisogno di cura, specie dopo la chiusura del manicomio. La frustrazione di fronte alla follia reclusa in una galera che abbrutisce, non riabilita, e tanto meno cura, rappresenta il collante dei racconti che il dottor Matteo Pieraccini, psichiatra di quel carcere, ha raccolto in un memoriale rivolto a un interlocutore che resta inspiegabilmente silente e anonimo. Lo scopo con il quale egli ha composto il memoriale non è chiaro, perché lascia irrisolto il suo confronto con il tema della colpa, per aprire il dilemma, per lui altrettanto insolubile, della eutanasia.